Giornalismo televisivo: come NON dare una notizia

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RAI

Nei corsi di giornalismo si studia come dare una notizia. Ma sul lavoro serve saper fare il contrario: come NON dare una notizia. Con eleganza, s’intende. 

 

L’abilità richiesta nel servizio pubblico è nel dare una notizia, sottraendone l’informazione sgradita. Come fare? Ce lo dice oggi in poche parole Paolo Ojetti (ex giornalista televisivo in RAI), sul Fatto Quotidiano.

Scrive Ojetti: «C’è il primo sistema: ignorare le notizie sgradite o contrarie alla tesi generale della testata.
C’è il secondo sistema: presentare le notizie  in forma rapida e dimessa, quindi in studio, senza servizi (furbata vista e rivista spesso e ovunque).
C’è il terzo sistema: trattare le notizie in modo che il colpevole sembri la vittima: capriola verbale e inversione dei ruoli.
Oppure, quarto sistema, collocare le non-notizie dove non te le aspetti, in coda, parlando d’altro.
Volendo, c’è il quinto escamotage: un editoriale per nascondere la notizia sotto un commento ad hoc».

 

Indagine comparata sul giornalismo televisivo RAI

Sul giornalismo televisivo del servizio pubblico, quindi della RAI, l’Osservatorio di Pavia ha di recente realizzato una ricerca commissionata proprio dalla Rai, dal titolo “Politica e giornalismo nei telegiornali Rai“.
Lo studio copre un periodo di circa 40 anni di giornalismo televisivo europeo, e la RAI ne esce molto male. Paradossale il fatto che la ricerca stessa è diventata un esempio di notizia data e cancellata.
Ecco come è stata riferita agli spettatori la ricerca:

«E’ stata presentata in Viale Mazzini, alla presenza dei vertici del servizio pubblico radiotelevisivo e dei direttori delle testate tv della Rai, una ricerca curata per conto dell’Azienda dall’Osservatorio di Pavia. Il tema è questo: “Politica e giornalismo nei telegiornali Rai”.
Due i filoni di indagine: il primo, un confronto tra il linguaggio e le modalità di racconto della politica dal 1967 al 2007; il secondo, una comparazione tra i tg Rai italiani e quelli pubblici di Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna»: notizia data, informazione cancellata.

Rodolfo Gigli & staff

 

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Bibliografia sul giornalismo televisivo

• Speciale Tg. Forme e tecniche del giornalismo televisivo
cur. Simonelli G., 2005, Interlinea

• Giornalismo televisivo. Teorie, tecniche e linguaggi
Mazzei Giuseppe, 2005, RAI-ERI

• Il giornalismo televisivo
Di Salvo Pino, 2004, Carocci

• Il linguaggio delle news. Strumenti e regole del giornalismo televisivo
Petrone Sandro, 2004, Etas

• Il cantastorie mediatico. Appunti di giornalismo televisivo
D’Amelia Achille, 2000, RAI-ERI

• Lo scottante problema delle caldarroste. Piccolo vademecum per giornalisti televisivi (e non)
Loche Massimo, 2005, Manni

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5 Commenti

  1. In sintesi: il verbo è moribondo, la sintassi agonizza, e anche la punteggiatura si sente poco bene***. Aldilà del doveroso (utopico?) appello affinchè i giornalisti scrivano meglio, resta la provvidenziale via di fuga suggerita dalle Lezioni americane di Italo Calvino, nella parte dedicata all’esattezza:
    Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze. Non m’interessa qui chiedermi se le origini di quest’epidemia siano da ricercare nella politica, nell’ideologia, nell’uniformità burocratica, nell’omogeneizzazione dei mass-media, nella diffusione della media cultura. Quel che mi interessa sono le possibilità di salute. La letteratura (e forse solo la letteratura) può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.
    L’autore si appella ai giornalisti per fare sì che la ‘peste del linguaggio’ non dilaghi troppo. Ma intanto diventa sempre più essenziale alla nostra salute continuare a leggere.
    http://libri.blog.rainews24.it/2005/08/23/lo-scottante-problema-delle-caldarroste/
    *** questa battuta è di Woody Allen: “Dio è morto, Marx è morto e anch’io non mi sento molto bene”

  2. “Il cantastorie mediatico. Appunti di giornalismo televisivo”: pensavo fosse un testo critico, che di storie ce ne raccontano a tonnellate. Invece il libro parla veramente di cantastorie: “il cantastorie era l’appuntamento fisso delle fiere di paese. Poi è arrivata la televisione, ed è stata la fine dei cantastorie. Eppure il cantastorie una sua rivincita postuma è riuscito a prendersela, trovando in qualche modo una discendenza nella nuova figura dell’inviato. Ha deciso di darsi un look, ha montato camera e microfono e ha preso ad andare lontano. D’Amelia racconta come sia avvenuta questa mutazione, di cosa sia fatta la tecnica e la stoffa umana dei nuovi cantastorie”.

  3. L’editore Etas è una garanzia, e infatti “Il linguaggio delle news. Strumenti e regole del giornalismo televisivo” è quello che serve per entrare in argomento. Infatti: “Per anni, in Italia generazioni di giornalisti sono passate da giornali o agenzie alla televisione, portando con sé gli strumenti di lavoro e le tecniche della carta stampata. Hanno chiamato tele-giornali i programmi di notizie che realizzavano, così come i loro predecessori, anni prima, avevano chiamato giornali-radio i programmi di informazione radiofonici.

    Come se si trattasse semplicemente di trasferire sul piccolo schermo gli articoli di un quotidiano, con le relative foto, hanno cominciato a parlare di illustrare il pezzo con le immagini, di impaginazione delle notizie, di copertina, di prima pagina, dividendo poi il programma in successive pagine con la stessa scansione e con gli stessi nomi adoperati dalla carta stampata.

    Al centro di tutto c’è sempre un testo che va impaginato, una voce che lo legge da coprire con qualcosa di visivo perché sia possibile pubblicarlo in video. Ma non è così…”.