Vola Vanity Fair Italia: tiratura record di 302.000 copie

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Brilla di luce propria l’edizione italiana di Vanity Fair, che con il direttore Luca Dini, ha superato la barriera delle 300.000 copie

In un’intervista di Marco Capisani (ItaliaOggi/Media), dal titolo dal titolo “Vanity Fair, il segreto è la copertina“, Dini spiega come ha portato il settimanale al record di tirature.
Per Dini, il product mix di un settimanale coma Vanity Fair dev’essere «come un party: ben assortito». Una vision che si dichiara sin dalle copertine (curatissime), dove si alternano personaggi impegnati, come Saviano o Travaglio e celebrità al massimo del loro sex appeal.

Una lezione di editoria, nell’intervista a Luca Dini

Ecco alcuni passaggi dell’intervista di Marco Capisani a Luca Dini.

Capisani –  Il lettore s’interessa solo  ai casi umani? 
Dini/ Vanity Fair – C’è un interesse forte. Non è morbosità, ma curiosità. Funzionano le storie umane purché vicine alla vita quotidiana delle lettrici e dei lettori, tra crisi personali, momenti di felicità o malattie. 
Un tempo, poi, dipendevamo di più dalle interviste che arrivavano da Vanity Fair America (che negli Usa ha cadenza mensile, ndr). Ora al massimo usiamo le loro fotografi e ma le arricchiamo con contenuti nostri. Vanity Fair Italia ha anime diverse al suo interno; noi le misceliamo in un unico mix.

Capisani –   …rischiando di  disorientare il lettore  tra temi seri e argomenti  più faceti… 
Dini/ Vanity Fair – No, perché un buon giornale è come un party: dev’essere ben assortito. Alle celebrity seguono spesso reportage di guerra, alla soubrette il politico o lo scienziato in modo che la soubrette appaia più intelligente e il politico più sexy. Del resto scrivere per le donne aiuta, visto che il gentil sesso non ragiona per steccati e, quindi, è più facile essere trasversali.

Capisani –  Quanto conta pubblicare  delle anticipazioni? 
Dini/ Vanity Fair – L’obiettivo è avere delle rivelazioni, ma senza la smania di anticipare. Talvolta è meglio aspettare, come nel caso del lancio di Titanic con Leonardo Di Caprio e Kate Winslet. Se avessimo anticipato il film, l’accoglienza del pubblico sarebbe stata fredda. Uscendo in edicola dopo la prima proiezione, l’attesa e la curiosità per il cast erano già cresciute.  

Capisani –  Non di sola carta stampata  vive Dini, quindi… 
Dini/ Vanity Fair – Voglio investire molto sul nostro sito web www.vanityfair. it, che punterà sempre di più sull’attualità e i relativi contributi dall’edizione cartacea. Non mancheranno infine nuovi servizi ad hoc anche per la versione iPad […]* 

 

 Copertine-Vanity-Fair

 

Vanity Fair story

Katy-Perry-Vanity-Fair
Vanity Fair USA

Vanity Fair inizia le sue pubblicazioni nel lontano 1913, anno in cui l’imprenditore Condé Nast acquista la rivista di moda maschile Dress, rinominandola Dress and Vanity Fair

Vanity Fair assume la sua attuale forma dagli anni ottanta grazie a un rilancio promosso dal proprietario della Condè Nast in persona, il celeberrimo Si Newhouse.
Oltre ad alcuni casi di foto controverse, Vanity Fair oggi è nota anche per i suoi articoli di qualità: costume, cultura, moda e politica. Non mancano articoli impegnati e di denuncia, come quando nel 1996 la giornalista Marie Brenner scrisse per Vanity Fair un articolo d’accusa sull’industria del tabacco intitolato “The Man Who Knew Too Much”. Articolo dal quale fu poi tratto il film Insider – Dietro la verità (1999), con Al Pacino e Russell Crowe.  
Il successo di Vanity Fair è diventato un “case study” con il libro di Toby Young, “How to Lose Friends and Alienate People”.
 

 

Vanity Fair Italia

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Vanity Fair Italia

L’edizione italiana di Vanity Fair ha iniziato ad essere distribuita nel 2003 e vanta grandi firme del giornalismo. 

Vanity Fair Italia è diretta da Luca Dini, sin dalla prima edizione. Laureato come interprete di inglese, spagnolo e francese, Dini 1990 vince una borsa di studio alla scuola di giornalismo della Rizzoli, e nel 1991 comincia a collaborare con Oggi, come corrispondente da New York a partire dal 1994. Poi, nel 2003 arriva alla direzione di Vanity Fair e la porta al successo. 
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Marta Giorgi & staff
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* Tutta l’intervista a Dini – Vanity Fair, su ItaliaOggi/Media online, 22/9/11.
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3 Commenti

  1. “Qui Mediaset” ha intervistato Luca Dini ed ecco i pezzi più interessanti, secondo me.

    Fare il giornalista è un lavoro difficile?
    No e sì. No, perché i lavori difficili sono quelli senza gratificazione – noi siamo fortunati, facciamo un mestiere bellissimo e privilegiato. Sì, perché, a farlo bene, il nostro è un lavoro che ti impone di non staccare mai, di non sederti mai, di non accontentarti mai. Non c’è weekend o ferragosto che tenga.

    Il bello di dirigere un settimanale?
    Avere abbastanza tempo per andare a fondo nelle storie, per confezionarle bene, per valorizzarle.

    Più difficili i conduttori tv o gli attori di cinema/fiction?
    I conduttori tv. Sono abituati a fare domande, nelle interviste vorrebbero fare tutto da soli. E gli attori, più sono grandi (e stranieri), più sono ragionevoli.

    Pensi mai di lasciare il mondo dello showbiz e passare a un altro settore del giornalismo?
    Francamente, no. Mi piace scrivere di quello che mi piace leggere.

    Pensi che i giornalisti si rendano conto del potere che hanno?
    Troppi di loro si rendono conto del potere che pensano di avere – la capacità di ricattare i potenti. Pochi di loro si rendono conto del potere che hanno davvero – la responsabilità di influenzare le vite di chi potente non è.

    Gli stipendi medi dei giornalisti, guardando sia in alto sia in basso, sono adeguati al lavoro che svolgono?
    In alto, sì (anche troppo, a volte). In basso, no.

    (http://www.tv.mediaset.it/quimediaset/articolo_1603.shtml),

  2. Vi propongo questi brani molto interessanti, che ho tratto dall’intervista a Luca Dini di Dina Bara, per Prima Comunicazione, 1/7/11).

    A sette anni dalla nascita Vanity Fair non smette di dare zampate. Quel delicato equilibrio su cui si regge ogni numero, mescolando attualità di presa vivace, opinioni di grandi firme, intrattenimento a base di celebrities ritratte in modo un po’ complice e un po’ irriverente, reportage di grande respiro, gran bei servizi di moda e di bellezza, regge al passare del tempo e conferma il settimanale della Condé Nast come il femminile che ha mandato al macero i cliché di questo genere, costringendo i concorrenti a fare i conti con la sua carica di novità e affermandosi sul mercato pubblicitario con la forza dei suoi numeri e la costante capacità di crescita (la stima d’incremento di fatturato pubblicitario in un anno difficile come il 2010 è del 9%).

    Prima – Quante copie ballano tra una copertina buona e una sbagliata?
    L. Dini – Trentamila, ma anche 50mila. Ed è un fenomeno sempre più accentuato. Non posso dire che la scelta della copertina prenda la metà del mio tempo, ma la metà dei miei pensieri forse sì. È evidente che non siamo costretti a seguire il cliché Hollywood e Cinecittà, l’importante è che il personaggio abbia un grande appeal. Difatti stiamo sperimentando anche copertine diverse come quella con Roberto Saviano, che abbiamo pubblicato prima della sua trasmissione in tivù con Fazio e che è andata benissimo.

    Prima – Pensa che il sito Vanityfair.it la aiuterà a capire meglio quali sono i personaggi giusti?
    L. Dini – Penso proprio di sì: se fai una copertina straordinariamente azzeccata un po’ di lettori ti scrivono per dirti quanto sei stato bravo. Ma devono aver voglia di mandarti una e-mail, invece se vai su Facebook e clicchi su ‘mi piace’ ci metti un secondo. Quindi abbiamo e avremo sempre più informazioni sul gradimento, e analizzarle è molto utile per capire quali personaggi muove la Rete.

    Prima – Molti personaggi dello spettacolo e della musica ormai usano sapientemente il web per comunicare. Il sito che nuove opportunità vi offre?
    L. Dini – Tantissime, tutti si sono resi conto che il marketing virale che fa Internet non può farlo nessun altro mezzo. E che, almeno per le fasce di pubblico che gli interessano, Internet ha una forza di penetrazione maggiore e soprattutto più mirata di quella della tivù. Difatti capita che ci offrano delle esclusive già pensate per l’on line. Da parte nostra c’è un grande interesse per tutte le possibili forme d’interazione con i social network. Ad esempio, due settimane prima del lancio del sito abbiamo inaugurato su Facebook un’applicazione che permette di fare tre domande a un personaggio, il primo è Jovanotti, che poi intervisteremo su Vanity Fair facendogli anche cinque domande selezionate tra quelle proposte su Facebook.

    Prima – Lei quanto crede a uno strumento come Facebook?
    L. Dini – Ci credo moltissimo. Non bisogna aver paura di aprirsi alla Rete, di mandare fuori le cose dal sito, perché poi ti ritornano alla grande. Non lo dico solo perché per il giornale e per il sito i social network sono un’enorme cassa di risonanza, ma anche perché funzionano un po’ da termometro del tuo pubblico. La reazione può essere brutale e a volte anche crudele: magari scrivi o proponi una cosa che ti piace o ti convince molto e viene spernacchiata, ma è comunque utile. Del resto a Vanity Fair noi abbiano un’esperienza speciale con la rubrica delle lettere, che consideriamo un piccolo social network ante litteram.

    http://www.primaonline.it/2011/07/01/94458/a-sette-anni-dalla-nascita-intervista-a-luca-dini-direttore-di-vanity-fair-prima-n-412-dicembre-2010/