Qual è il filo che collega corruzione, giornalismo e opinione pubblica? Una domanda all’ordine del giorno, in questo periodo di inchieste, scandali e arresti in prima pagina.
Una chiave di lettura l’ha data l’editorialista Luigi Zingales (alias Robert McCormack), in un articolo che mi era rimasto in memoria e che riporto nelle parti salienti, dopo averlo cercato a lungo.
«Se uno dovesse giudicare l’Italia dagli articoli che appaiono sulla stampa estera, ne avrebbe una visione terribile. [..].
Quale futuro ci attende? Per fortuna, la situazione non è così bieca. Se l’Italia vista dall’America può sembrare un paese moralmente sottosviluppato, non lo è in un contesto storico.
Gli stessi Stati Uniti, che oggi si ergono come esempio di moralità, agli inizi del Ventesimo secolo erano più corrotti dell’Italia. La polizia era un feudo dei partiti. I senatori erano al soldo dei grossi industriali come Rockefeller e la corruzione dilagava. Migliorare è possibile. Per capire come farlo è necessario imparare dai successi altrui.
Come hanno fatto gli Stati Uniti ad emergere dalla corruzione imperante agli inizi del secolo scorso?
La risposta è semplice: attraverso l’uso politico (non partitico) degli scandali.
Il problema fondamentale di ogni democrazia è che la maggior parte degli elettori non è informata.
Informarsi richiede tempo e il tempo è denaro. Per l’elettore medio il costo di diventare informato eccede il beneficio che ne può ricavare attraverso un voto informato. Il risultato è che la stragrande maggioranza dei cittadini rimane ignorante sulle decisioni politiche fondamentali. Questa ignoranza favorisce la corruzione: i politici prendono decisioni nell’interesse loro e dei loro finanziatori, non della maggioranza.
L’unico antidoto a questa triste situazione è rappresentato dai mass media. I media hanno la capacità di trasformare anche l’argomento più noioso in intrattenimento e così facendo educano gli elettori, spesso a loro stessa insaputa. Il film documentario di Al Gore ha fatto di più per la causa dell’ambiente che mezzo secolo di campagne dei Verdi. […]
Per dei politici emergenti, gli scandali rappresentano una ghiotta opportunità di successo. In un mondo politico competitivo, in pochi se la lasciano scappare.
Cosa manca all’Italia d’oggi per cominciare una stagione di riforme? Innanzitutto, un settore dei media animato da motivi commerciali e non politici. I coraggiosi documentari della Gabanelli hanno un grosso successo di pubblico. Se ne vediamo così pochi è perché tanto la Rai quanto Mediaset non operano secondo logiche commerciali, ma secondo logiche politiche.
In secondo luogo, il sistema politico italiano rende difficile l’entrata di outsider. […]
Senza un pubblico informato, però, non esiste spazio per un politico nuovo. Se vogliamo cambiare, dobbiamo cominciare riportando le logiche di mercato nel mercato dei media».
A.c. Francesco Dataria & staff
(i neretti sono miei e non sono nell’originale di Zingales)
Tratto da:
Purché scandalo sia – L’uso politico e non partitico delle inchieste giornalistiche è la via giusta per informare gli elettori e battere la corruzione. Di Luigi Zingales (L’Espresso, 26 novembre 2010).
Link testo integrale
Wikipedia: Luigi Zingales (Robert C. McCormack)
Tutto vero, verissimo, però per il declino della criminalità all’Al Capone vale anche la tendenza della criminalità a passare nell’economia legale. Non solo i boss degli anni ’20, ma anche quelli italiani di oggi cercano di mettersi al sicuro da ergastoli e da regolamenti di conti interni (morte… prematura). Poi devono anche mettere al sicuro i capitali illegali. Per questo cercano di far passare all’economia più o meno legale almeno figli o nipoti.
Quindi, viva l’informazione libera e il giornalismo d’inchiesta, dove c’è e dove il pubblico non è addormentato. Ma non diamogli troppi meriti, come fa Zingales.
Questo è il mio contributo, l’articolo “Giornalismo e democrazia: una comparazione tra Italia e Gran Bretagna”, uno studio di Federica Cherubini mette a confronto l’informazione a mezzo stampa in Italia e in Gran Bretagna individuando le maggiori differenze e somiglianze dei due sistemi, il diverso ruolo che ricopre il giornalismo e, soprattutto, i suoi riflessi sulla qualità della democrazia. Ci si chiede, in particolare, se ci sia un nesso diretto fra giornalismo di qualità e opinione pubblica di qualità e se, in secondo luogo, un’opinione pubblica di qualità sia ritenuta necessaria.
http://it.ejo.ch/2345/etica/giornalismo-e-democrazia-una-comparazione-tra-italia-e-gran-bretagna
Giornalismo di qualità secondo me è anche questo: “a lungo termine non conta tanto la sostanza del messaggio – chi rapinerà oggi il distributore di Mingo Sul Serio – ma le scelte che avvengono a monte. Cosa deve essere raccontato, e come? Cosa va tralasciato? Su cosa dobbiamo calare un velo di pudore o silenzio? Chi sceglie di leggerci, di certo senza l’intenzione di essere educato, ciononostante impara qualcosa – sul comunicare e sul vivere – dalle risposte che noi diamo, ogni giorno, a queste domande”.
“Ragionando alla rovescia: chi, a qualche anno di distanza, ricorda più del 20% della sostanza di quanto ha imparato sui banchi? Sapreste elencare le differenze tra una cellula vegetale e una animale? Riuscite ancora a integrare una funzione di secondo grado? Il punto è che la scuola, nel tempo, vi lascia soprattutto un’impronta; perché ha dato una forma al contenitore nel quale voi, da adulti, filtrate e travasate le informazioni in arrivo dal mondo”. Oliver Broggini sul Corriere del Ticino.
Ancora sul giornalismo di qualità: “Solo quando i destinatari saranno disposti a pagare per avere qualità ci saranno manager e giornalisti pronti a soddisfare le esigenze del proprio pubblico e a riflettere sulla gestione della qualità in modo serio e concreto. Già, ma è un gatto che si morde la coda, perché è anche vero il contrario: solo quando i manager e i giornalisti inizieranno a fare chiarezza sulla realtà giornalistica e dei media stessi in modo decisivo e significativo ci saranno utenti sufficientemente consapevoli e pronti a far valere il proprio desiderio di un’informazione di qualità”. Stephan Russ-Mohl, su Corriere del Ticino (11-4-2012)