Giornalismo, anno zero?

2028

C’è qualcosa di nuovo nel mondo dell’informazione. Tradizione e innovazione sembrano in rotta di collisione. Lo sono da quasi 18 anni ed ora gli spazi sono stretti. Lo dicono gli addetti ai lavori un po’ ovunque e lo si legge in tutte le lingue, dall’inglese allo spagnolo, dal francese all’italiano. E proprio in Italia, forse per l’aria di rinnovamento che tira in Parlamento, in  questi giorni, c’è chi alza il tiro del dibattito e propone una rifondazione del giornalismo italiano. In questa scia, Alessandro Rimassa, sull’Huffington Post Italia, propone “gli Stati generali del giornalismo“. Esagera un bel po’, ma intanto attira l’attenzione sul tema e propone un appuntamento preciso: a fine aprile, al prossimo Festival del Giornalismo di Perugia.

Scrive Rimassa: «è essenziale pensare a seri Stati generali del giornalismo italiano. Capire […] perché si dà spazio sempre ai soliti nomi (tanto nella cronaca politica, quanto in quella di società e cultura), perché non si raccontano storie e si preferisce giocare tutto sulla polemica e le non notizie. Capire anche perché si parla solo di crisi, disoccupazione e spread e non si sanno raccontare il cambiamento, le storie di successo, le persone che segnano differenza e guidano l’innovazione. Il giornalismo italiano, quello dei grandi giornali e telegiornali, è follower della politica, che già di per sé è pessimo follower della società vera. […]

Gli Stati generali del giornalismo italiano «non possono e non devono essere la solita sfilata dei De Bortoli, Mauro, Napoletano, Feltri, Mimum, Vespa, Floris o tutt’al più Calabresi. No, grazie: loro sono i Bersani e i Berlusconi del giornalismo. Loro sono quelli che il social journalism non sanno nemmeno che sia, che gli user generated contents non li hanno mai sfruttati, che alle storie di strada preferiscono i giochi di palazzo.

Loro sono quelli del giornalismo top-down, delle notizie che cadono dall’alto e vanno imposte al lettore. In un modello di società che si sta evolvendo in senso orizzontale e bottom-up, in cui la condivisione non è più soltanto una parola ma sta diventando un metodo, loro sono quelli da escludere: non per cattiveria, ma per manifesta incapacità. […]  Il punto è che nei grandi giornali e telegiornali poi non basta nemmeno sostituire il direttore, laddove gran parte delle redazioni è composta da giornalisti che il senso del mestiere lo hanno sotterrato sotto l’inerzia, l’abitudine, l’abbandono degli ideali.

Chiudo con una invitata d’eccellenza, Arianna Ciccone, ideatrice del Festival del Giornalismo di Perugia: a lei, che da diversi anni mette insieme un evento eccezionale (quest’anno dal 24 al 28 aprile), lancio l’idea di realizzarli davvero questi Stati generali del giornalismo e co-costruire il libro bianco del nuovo giornalismo italiano. Il nostro Paese ha bisogno di una informazione migliore, se la merita!»

Dall’Huffington Post Italia “Stati generali del giornalismo: fuori tutti i grandi direttori“.

A c. Giuseppina Fabbri & staff (Claudio Torrella)

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9 Commenti

  1. Vero, vero, vero. L’editoriale di Travaglio oggi inizia così: “C’è una sola corporazione più refrattaria della casta politica al cambiamento: quella dei giornalisti”. Professionisti.

  2. Wittgenstein, Luca Sofri: “io sono davvero convinto di una grossissima responsabilità dei media più seguiti nelle condizioni disastrose dell’Italia e della sua politica, e di conseguenza convinto che se non cambia qualcosa su quel fronte lì non si fanno grandi passi avanti”.

  3. Sull’articolo c’è anche questo, che mi sembra importante.
    “Ci sono, invece, quelli che il giornalismo contemporaneo lo capiscono e lo interpretano, cito a memoria i primi che inviterei: Milena Gabanelli con Report, Giampaolo Colletti che grazie al network L’Altra Tv ha realizzato la diretta televisiva web #Italiavota e in passato la bellissima notte del compleanno della Montalcini con Rita 101, i ragazzi de La Cosa, la web Tv del MoVimento 5 Stelle, Riccardo Luna con il suo Chefuturo!, ovviamente Luca Sofri con Il Post, di certo Angelo Perrino che primo in Italia ha lanciato un quotidiano online, Affari Italiani, ancora Francesco Piccinini, direttore di Fanpage, di certo il fondatore de Linkiesta, Jacopo Tondelli e Ilaria D’Amico, che con Lo Spoglio su Sky Tg24 ha stupito tutti soltanto perché faceva per davvero le domande ai politici in studio”.

  4. Stati generali del giornalismo? Rifondare il giornalismo? Ma come si fa senza editori veri (e di modeste pretese)? Senza prima obbligare banche e industriali d’ogni tipo ad uscire dai giornali? Ci vorrebbe almeno un comma nella futura Legge sul conflitto d’interesse che impedisse partecipazioni societarie di qualsiasi società (industriale, assicurativa, bancaria, pubblicitaria) in imprese editoriali, comprendendo non solo i quotidiani, le radio e le televisioni, ma anche settimanali, mensili, bi e trimestrali ecc. ecc. :-)

  5. Arianna Ciccone (Festival Giornalismo Perugia): La spallata data dal Movimento 5 Stelle non riguarda esclusivamente i partiti ma anche i giornali, come fino a oggi li abbiamo intesi, fatti, vissuti. Giornali e trasmissioni tv che ci hanno raccontato un paese, forse assecondando il loro desiderio di realtà, che semplicemente non esiste

    E quindi? E quindi, arrendiamoci. Se ancora oggi tentiamo di forzare la realtà ai nostri desideri, se quello che non ci piace o non lo raccontiamo o lo raccontiamo male (creando mondi/bolle di sopravvalutazione), allora siamo inutili.
    http://www.repubblica.it/politica/2013/03/07/news/a_proposito_di_giornali-maiali_2-54050734/

  6. Chi ha bisogno di un giornalismo così?
    Sul Corriere, prima che la visita fiscale scoprisse il bluff della congiuntivite: «L’ex premier sotto ‘assedio’ in una camera buia… Dosi massicce di antinfiammatori e antidolorifici… disturbi della vista, fastidio della luce e lacrimazione… un male diventato insopportabile». :-))

  7. Sono convinto che giornalisti e politici hanno tradito la delega ricevuta (o presa) dai cittadini, insieme e concordi. Serenamente, senza scrupoli e senza sensi di colpa. I giornalisti più autorevoli, gli editorialisti, gli opinionisti hanno sempre fatto e ancora fanno da palo ai politici.