Giornalismo sotto stress: il caso Grillo

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Come giornalisti, stiamo facendo una pessima figura nel caso Grillo, prima e dopo le elezioni.
Con un po’ di autoironia, si potrebbe dire che siamo “giornalisti sull’orlo di una crisi di nervi” (alla Almodovar), visto che in queste settimane le regole deontologiche della professione sono saltate, dai galoppini ai loro direttori e anche più su, molto più su.
Stiamo facendo una pessima figura non solo tra noi, ma anche verso i colleghi della stampa estera, che questa volta sono stati direttamente coinvolti nelle nostre… debolezze (diciamo così). Caterina Soffici, sul Fatto di oggi (9/3/2013), riassume questa situazione:

«nel cortocircuito tra stampa italiana e M5S si sta verificando un fenomeno paradossale che ha innescato una spirale perversa. Grillo non parla con i media nazionali perché sostiene che la stampa nostrana fa parte della casta e manipola le informazioni ad uso e consumo dei propri padroni e referenti politici. Per non essere manipolato quindi Grillo rilascia interviste solo ai giornali stranieri. Ma i giornali italiani riprendono le interviste di Grillo ai giornali stranieri e l’effetto è delirante. Perché fraintendimenti o cattive traduzione (casi di buona fede) e manipolazioni vere e proprie (casi di malafede), si innesta la rincorsa alla smentita e alla rettifica.
I giornali italiani fanno dire a Grillo cose che lui non ha detto. Lui smentisce. E i giornalisti stranieri, che non sono fessi, a loro volta chiarificano e smentiscono. Così, come se non bastasse la miseria nazionale di una stampa che ha perso ogni credibilità in patria, fioccano le figuracce internazionali. E la indiretta conferma della tesi di Grillo, che i giornali italiani sono come minimo cialtroni, poco accurati e inattendibili.
(…) In particolare finisce nel mirino quello del Corriere.it (ma sono tutti uguali): “Se falliamo noi violenza in strada”. Cosa capisce il lettore? Che Grillo minaccia di scatenare la violenza in strada. Invece Grillo aveva detto proprio il contrario e il giornalista autore dell’intervista lo fa subito notare su Twitter: un titolo fuori dal contesto. (…)
Se la fama dei giornalisti italiani è pessima oltre confine, bisognerà iniziare a farsi qualche domanda. Così (…) Faris ha postato un suo pezzo del 2009 (epoca non sospetta, siamo in pieno berlusconismo) che parla di “fonti inattendibili”, e di “giornali scritti non per i lettori ma per 1.500 persone: ministri, parlamentari, capi di partiti e sindacati, industriali”. (…) »

Foto sotto: lo “scoop” dell’Espresso di questa settimana e la risposta sul blog di Grillo, che chiama in causa l’ingegnere De Benedetti (presidente e socio del Gruppo Editoriale L’Espresso).

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A cura di A. Marino & staff

Leggi tutto in “Dimmi chi ti intervista e ti dirò che Grillo sei“, di Caterina Soffici (Fatto Quotidiano 9/3/13)

 



 

 

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2 Commenti

  1. Il re è nudo: il giornalismo politico si ridicolizza da solo. E’ patetico nelle resse per strada, davanti Montecitorio o all’inseguimento in spiaggia (non importa di chi). Ridicolo nella costruzione di un articolo su una frase forzata o una deduzione illogica.

  2. La brava giornalista Luisella Costamagna, sul Fatto Quotidiano di oggi (18/12/2013) se la prende con i giornalisti, “perché noi che con le parole lavoriamo dobbiamo smetterla di usarle a caso, evocando scenari nefasti che nulla hanno a che vedere con la realtà”.
    L’argomento è Grillo, ma l’uso distorto, esagerato, roboante delle parole è avunque. Quando i giornalisti non sanno come attirare l’attenzione fanno come le band di paese: aumentano il volume per fare almeno chiasso.

    Ecco l’articolo della Costamagna.

    Proscrizione, squadristi. Ma come parlate?
    Cari giornalisti presunti proscritti da Beppe Grillo, dico presunti perché noi che con le parole lavoriamo dobbiamo smetterla di usarle a caso, evocando scenari nefasti che nulla hanno a che vedere con la realtà.

    Dire che Grillo fa “liste di proscrizione” dei giornalisti sgraditi (Oppo, Merlo, Battista) è una sciocchezza. Le liste di proscrizione, nate nell’antica Roma per colpire gli avversari politici, comportavano l’esilio o la morte, e oggi indicano reale messa al bando, censura, bavaglio.
    Non mi risulta (e ci mancherebbe!) che abbiate subìto questo trattamento da Grillo, e il fatto che sia stato evocato nel blog nei confronti della Oppo, con il (deprecabile) “dovrà cercarsi un lavoro” dopo l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria – battaglia che, condivisibile o meno, Grillo conduce da anni – fa un’enorme differenza. La stessa che passa tra realtà e immaginazione.

    E che dire dell’improprio parallelo tra gli attacchi ai giornalisti critici e l’“editto bulgaro”? Madornale sciocchezza pure questa. L’editto del 2002 di Berlusconi – che allora era premier e controllava Mediaset e Rai – contro Biagi, Luttazzi e Santoro per l’“uso criminoso” della tv pubblica, significò la cancellazione delle loro trasmissioni e un atto intimidatorio nei confronti dell’informazione tutta, invitata (?) a stare buonina. La storia mai scritta non è solo quella dei grandi epurati ma anche dei piccoli: i tanti giornalisti e redattori precari che si sono trovati all’improvviso senza lavoro, senza stipendio e senza la possibilità di appellarsi a tribunali. Che c’entra tutto questo con Grillo? Assolutamente nulla.

    Ed è inaccettabile anche che si dica – come hanno fatto importanti rappresentanti del Pd, ma non solo – che i suoi metodi “portano alla memoria il peggior squadrismo”. Ma avete una vaga idea di cos’era lo “squadrismo”? Se non un libro, consultate almeno la Treccani! Troverete due parole inequivocabili: “violenza armata”. È chiara la differenza abissale tra ieri e oggi? Sia chiaro: Grillo sbaglia a prendere di mira i giornalisti che lo criticano. Siamo già al 57esimo posto al mondo per libertà di stampa, dopo Burkina Faso e Ghana: non ci si metta pure lui. Ma perché, per un attimo, non considerate anche il rovescio della medaglia?

    Grillo ha raccolto il 25% dei consensi, ma a novembre nei Tg Rai e Mediaset (dati Agcom) il “tempo di notizia” (non di parola!) dedicato al Movimento 5 Stelle è stato, rispettivamente, del 3,46 e del 2,43% (per dire, il PD ha avuto il 20 e il 25%). Spegne la tv e sui giornali gli danno dello squadrista, proscrittore bulgaro, “non ancora” terrorista, camorrista, mafioso, con eletti che non hanno “fatto niente di utile per il popolo italiano” se non “pagliacciate”, “gazzarre” e “i soldi pubblici che si sono tenuti sono comunque troppi”… Non scapperebbe anche a voi un “vaffa”?
    Un cordiale saluto.