Giornalismo e corrispondenti di guerra

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Come è cambiato il mestiere dell’inviato di guerra al tempo di internet? Domanda quanto mai d’attualità, visti gli ultimi fatti in Medio Oriente.

L’occasione per parlarne è la pubblicazione in questi giorni del libro di Bernardo Valli, La verità del momento, che raccoglie articoli e reportages scritti nell’arco di quasi sessant’anni di professione e apparsi su Giorno, Corriere della SeraStampa e Repubblica. Un’antologia preceduta da una serie di scritti teorici su caratteristiche e metamorfosi che hanno investito la professione del reporter, e particolarmente del corrispondente di guerra.
Di tutto questo ne parla Giulia Belardelli che intervista Valli per l’Huffington Post. Intervista, dalla quale segnalo due passaggi.

GB – Come è cambiato il mestiere dell’inviato di guerra al tempo di internet?

BV – Ogni guerra è diversa e ogni volta il giornalista deve mostrarsi capace di accettare le nuove sfide poste dal contesto. La figura dell’inviato di guerra, in quanto tale, non esiste: esistono giornalisti che di tanto in tanto vengono mandati dove ci sono pericoli particolari. Di fronte a questi pericoli, il giornalista deve sapersi adeguare, e lo stesso discorso vale per i cambiamenti tecnologici in corso. Il giornalismo nacque con la guerra di Crimea a metà Ottocento, quando William Howard Russell, il corrispondente del Times, poté raccontare con articoli “caldi” ciò che vide sui campi di battaglia grazie al telegrafo.
Da allora tutto è diventato più veloce, come il passaggio dal cavallo all’automobile. Da cavallo si poteva vedere il mondo più accuratamente, si andava piano, si vedevano i dettagli. Con la macchina e l’aereo è tutto molto più veloce, più breve… ma l’essenza del giornalismo resta la stessa: l’informazione è un servizio pubblico essenziale, è ciò che dà autenticità a una democrazia.

GB – Qual è il suo rapporto con internet e i social network? So che è una semplificazione, ma fanno bene o male al giornalismo?

BV – Utilizzo quotidianamente internet per informarmi, mentre non uso i social network. Il fatto che molti, oggi, possano intervenire può creare disordine, ma dal mio punto di vista è un fatto positivo. Come andando in automobile c’è il rischio che la tua scena si inquini, così il web può inquinare il giusto flusso delle informazioni. Però è un fatto positivo, essere pessimisti è molto più facile rispetto al contrario. Per la prima volta tutto il mondo riceve simultaneamente le notizie, io lo trovo straordinario. Le censure sono state sconfitte, o quanto meno sono più difficili. 
Poi ci sono anche dei vantaggi più pratici. Per esempio, se qualcuno dice che sono un cretino e che ho detto una fesseria, grazie a internet posso saperlo. Fino a poco tempo fa in questo mestiere si poteva rischiare di morire imbecilli senza saperlo. Oggi è abbastanza difficile farlo. 
Leggi tutto su “Web, cavalli, guerre e imbecilli“, di Giulia Belardelli. 

Recensione a cura di Maria Chiostro & FM

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