Giampiero Gramaglia, l’ex direttore dell’agenzia Ansa, dice la sua su giornalismo, social media e professione.
Intervistato da Luca Andrea Palmieri, per europinione.it, Gramaglia dice la sua sulla professione giornalistica.
“Più l’informazione disponibile si dilata, sul web o altrove, più c’è la necessità che qualcuno ne verifichi l’attendibilità e ne selezioni la rilevanza: questo è il compito del giornalista oggi, compito che si somma e si integra a quello più tradizionale della ricerca della notizia. Se il singolo cittadino dovesse da solo acquisire l’informazione per lui rilevante, perderebbe molto più tempo e non sarebbe mai sufficientemente sicuro d’esserci riuscito. […]
I social media stanno cambiando il modo di comunicare. Ma il social media che più influenza e trasforma il modo di fare informazione è certamente Twitter: la fonte fa la notizia, produce la sua dichiarazione, già sintetizzata, senza mediazioni giornalistiche. Le agenzie sono state, ovviamente, le prime a subirne l’impatto. Il tweet ha già la struttura e l’efficacia di un flash o di un bulletin: ma i tweet sono migliaia, milioni. E le vere notizie molte meno: scatta il meccanismo della selezione di ciò che è rilevante in una montagna di ciarpame. […]
Il web facilita la circolazione dell’informazione, non della cattiva informazione. Di per sé, è un elemento potenzialmente (e pure di fatto) positivo: come, prima nel tempo, lo erano stati la tv, la radio, la stampa. L’informazione prolifica più facilmente e soprattutto più velocemente sul web, che sia cattiva o che sia buona.
produrre buona informazione costa, e pure molto, e se uno vuole buona informazione deve pagarla. Se no, non si lamenti se gli viene servita, gratis, informazione spazzatura”.
Tratto da “Lo stato del giornalismo italiano: intervista a Giampiero Gramaglia“, Luca Andrea Palmieri, europinione.it.
A cura di Ornella Rodi
Inutile rifugiarsi nei Tg per sapere cosa davvero succede: promesse, promesse.
Noi giornalisti siamo davvero innocenti se l’Italia è ridottacosì? Bisogna capire che gli
editori impuri di giornali e Tvfanno girare gli affari nelle poltronedella politica. E “l’infor –
mare “ si trasforma nel “formare “, quindi disegnare scenari indispensabili al tornaconto
di chi decide.
I giornalisti devono scegliere. Arruolarsi nei battaglioni embedded degli editori sincronizzati
con qualsiasi potere, quindi scrivere o recitare talk show come marionette appese
ai fili improvvisando ravvedimenti appena l’impero traballa. Come le ragazze di piccola virtù,
impossibile sopravvivere senza protettori.
Se oltre all’audience misurassimo la credibilità delle farfalle che svolazzano nei giardini dei poteri, quanti embedded lascerebbero il posto ai ragazzi in fila per fare la cronaca.
Maurizio Chierici, FQ 24/1/15