Comunicazione: ‘Italian do it better’

L’utilizzo di termini inglesi e simil-inglesi, quando è inutile, è anche ridicolo per chi scrive e fastidioso per chi legge.

Il ricorso alla lingua inglese, quando c’è la parola italiana corrispondente, è a tutto danno della lingua italiana e di chi, leggendo, vorrebbe capire. Sono ben pochi gli anglicismi hanno una loro giustificazione d’uso e arricchiscono la lingua italiana. Tutto il resto è provincialismo. Per questo, sulla scia dell’Italians do it better, per la comunicazione si può dire che Italian do it better.
Purtroppo il cattivo esempio viene proprio dalle istituzioni, come nella “Direttiva per la formazione dei docenti” del Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), che è tutto un fioccare di startup, soft skills, Continuing Professional Development, feedback, team teaching, project-based learning, cooperative learning, peer teaching e peer tutoring, learning by doing, flipped classroom, peer observation, Bring Your Own Device, Open Educational Resources,social media policy, (openebig) data literacy, making information literacy, job shadowing, cooperative teach ing, life skills, emp owe rmen t, peer education, media literacy, social learning, best practice, networking, problem-solving, peer review, agency, leadership, governance, task force,workshop, panel, checklist, fallout , open badges, focus group, repository, follow-up, coaching, tutoring, mentoring, counselling.
Molti termini inglesi che oggi inutilmente ricorrono nei discorsi della politica e nei messaggi dell’amministrazione pubblica, negli articoli e nei servizi giornalistici, nella comunicazione delle imprese hanno efficaci corrispondenti italiani. Perché non scegliere quelli? Perché, per esempio, dire “form” quando si può dire “modulo”, “jobs act” quando si può dire “legge sul lavoro”, e “market share” quando si può dire quota di mercato?

Secondo una ricerca di Federlingue, l’uso di parole anglosassoni è aumentato del 773% negli ultimi otto anni. Una situazione che ha allarmato tanti, confluiti anche in una petizione “#dilloinitaliano“. Scrive la promotrice, Annamaria Testa (esperta di comunicazione, pubblicitaria e docente universitaria): «Chiediamo all’Accademia della Crusca di farsi, forte del nostro sostegno, portavoce e autorevole testimone di questa istanza presso il Governo, le amministrazioni pubbliche, i media, le imprese. E di farlo ricordando alcune ragioni per cui scegliere termini italiani che esistono e sono in uso è una scelta virtuosa.
1) Adoperare parole italiane aiuta a farsi capire da tutti. Rende i discorsi più chiari ed efficaci. È un fatto di trasparenza e di democrazia.
2) Per il buon uso della lingua, esempi autorevoli e buone pratiche quotidiane sono più efficaci di qualsiasi prescrizione.
3) La nostra lingua è un valore. Studiata e amata nel mondo, è un potente strumento di promozione del nostro paese.
4) Essere bilingui è un vantaggio. Ma non significa infarcire di termini inglesi un discorso italiano, o viceversa. In un paese che parla poco le lingue straniere questa non è la soluzione, ma è parte del problema.
5) In itanglese è facile usare termini in modo goffo o scorretto, o a sproposito. O sbagliare nel pronunciarli. Chi parla come mangia parla meglio.
6) Da Dante a Galileo, da Leopardi a Fellini: la lingua italiana è la specifica forma in cui si articolano il nostro pensiero e la nostra creatività.
7) Se il nostro tessuto linguistico è robusto, tutelato e condiviso, quando serve può essere arricchito, e non lacerato, anche dall’inserzione di utili o evocativi termini non italiani.
8) L’italiano siamo tutti noi: gli italiani, forti della nostra identità, consapevoli delle nostre radici, aperti verso il mondo.»

Intanto,proprio presso l’Accademia della Crusca si è formato il gruppo “Incipit”, con lo scopo di monitorare i neologismi e forestierismi incipienti, nella fase in cui si affacciano alla lingua italiana e prima che prendano piede. “Incipit” ha il compito di esprimere un parere sui forestierismi di nuovo arrivo impiegati nel campo della vita civile e sociale. Il gruppo “Incipit” «respinge ogni autoritarismo linguistico, ma, attraverso la riflessione e lo sviluppo di una migliore coscienza linguistica e civile, vuole suggerire alternative agli operatori della comunicazione e ai politici, con le relative ricadute sulla lingua d’uso comune».
Piero Mancuso & staff FirstMaster

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Un piccolo ritocco e italians diventa italian.

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