Il futuro di giornali e giornalisti

Un numero sempre maggiore di grandi testate giornalistiche sta rivoluzionando il proprio modello di business, puntando su abbonamenti e su ricavi diretti dai lettori. Un trend che coinvolge sia le forme dell’editoria che il modo di fare giornalismo. Ecco come e perché.

In Francia Mediapart, la rivista online di giornalismo investigativo fondata nel 2008 da Edwy Pienel, ex caporedattore de Le Monde, e priva totalmente di pubblicità, nel 2016 ha centrato il settimo risultato netto positivo annuale: 1,89 milioni a fronte di un fatturato da abbonamenti di 11,36 milioni di euro (il 98% dei ricavi totali).
I numeri sono espliciti, per chi li vuole capire: in 16 anni, i ricavi pubblicitari del Times sono scesi dal 71% al 37% del fatturato, mentre i ricavi dalle vendite sono passati nello stesso periodo dal 23% al 57%.
Inoltre, leggendo gli ultimi dati disponibili del Times, si vede che gli abbonamenti “solo digitali” del 2014 rendevano 172 milioni, nel 2016 rendevano quasi 233 milioni di dollari. Il caso del Times, indica come l’innovazione passa sempre più dalla capacità di sostituire un modello basato sulla pubblicità (piuttosto semplice), a uno centrato sui ricavi provenienti dai lettori (molto più difficile).
Anche il Guardian, sostenitore dell’informazione gratuita online, si è dovuto piegare ai numeri, lanciando un programma di membership, dove i lettori versano una cifra, dalle 5 alle 60 sterline, per sostenere la testata e i valori che fondano il suo giornalismo. Da poco ha raggiunto i 200 mila membri, «una tappa importante», ha scritto la direttrice Katharine Viner a metà marzo, «nel nostro sforzo per riequilibrare il modello di business del Guardian per compensare il drammatico declino della pubblicità». 
Da noi Il Fatto Quotidiano ha intrapreso una strada simile lanciando il suo “Il Fatto Social Club” con cui il giornale cerca di monetizzare direttamente la sua ampia comunità di lettori online.

Quando il lettore pagava la carta e la pubblicità il resto
La storia del giornalismo ci dice che un tempo i 50 centesimi del prezzo di un quotidiano servivano a coprire il costo della carta e tutto il resto era coperto dalla pubblicità. Invece, nonostante sia più semplice guadagnare dalla pubblicità che dai lettori, i bilanci si reggeranno proprio sui lettori. Non è una questione finanziaria, ma puramente editoriale, perché nel passaggio da un modello ad un altro, cioè per motivare masse di lettori a pagare stabilmente una decina di euro o dollari al mese, è vitale che la qualità del servizio sia migliore dell’attuale. E per qualità si intende implicitamente indipendenza, specificità, professionalità.

Le strategie dell’industria culturale

Intanto, quali sono le strategie in altri settori dell’industria culturale? Anche tra altri content provider l’attenzione è rivolta al pubblico e in particolare alle soluzioni in abbonamento, anche perché la pubblicità è sempre più monopolizzata da Google e Facebook, per tutto quello che di esclusivo e conveniente offrono agli inserzionisti.
In questa direzione, il segnale internazionale più clamoroso è quello di Netflix (anche in Italia), che ha rinunciato totalmente alla pubblicità per concentrarsi solo sugli abbonamenti. Secondo Extreamist, rinunciando alla pubblicità, Netflix ha rinunciato a 2 miliardi di dollari. Ma per Netflix questa è una scelta di campo, in cui si intravede un ragionamento di tipo editoriale: il valore dell’indipendenza. Sì, perché Netflix non è più solo distributore, ma dal 2013 è anche grande produttore di contenuti, per aumentare sempre più la sua base di utenti (serie tv, e oggi anche film), puntando molto sulla qualità delle proprie produzioni.

Nella produzione originale, Netflix sta impegnando risorse enormi: 6 miliardi di dollari l’anno, secondo le stime dell’agenzia L2 Inc, una cifra che non ha eguali tra i diretti concorrenti. La pregevole rete Hbo, per dire, spenderà 2,5 miliardi, mentre due colossi televisivi come Abc e Nbc si impegneranno per 4 e 4,3 miliardi e infine Amazon per 4,5 miliardi di dollari. 
Non deve sorprendere troppo trovare Amazon al secondo posto di questa classifica, subito sotto Netflix. Il gigante dell’e-commerce ha iniziato a produrre serie tv per la sua piattaforma di video streaming Prime Video. Il servizio è uno dei punti di forza di Prime, l’abbonamento lanciato da Amazon che oggi conta tra i 60 e i 70 milioni di utenti (secondo quanto riporta il sito Bloomberg Gadfly). Non solo: in questi giorni Amazon ha inaugurato un nuovo marketplace interamente dedicato alle sottoscrizioni, segno che l’abbonamento sta diventando sempre più un buon affare, con un mercato in espansione.

In conclusione, due sono i trend più significativi dell’industria culturale, oggi: la realizzazione di alternative ai ricavi pubblicitari come fonte di redditività e il passaggio dall’acquisto spot a quello in abbonamento. Due strategie che in comune hanno la focalizzazione su piccoli prezzi per grandi numeri. In poche parole, dove prima c’erano cento inserzionisti, oggi ci sono centomila abbonati.
Mario De Lorenzo & staff FirstMaster
Nella foto: una prima pagina del Guardian con due articoli esplosivi.

 

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