Giornalismo e sistema informativo

Molto raramente nel dibattito pubblico si discute di concentrazione editoriale, conflitto di interessi, pluralismo. Ma se ne parla in questi giorni, con il polverone suscitato dalla classifica sulla libertà di stampa nel mondo, pubblicata da Reporters Sans Frontières.

In coda alle polemiche sulla classifica di Reporters Sans Frontières, Guido Rampoldi prova ad analizzare lo stato di salute del giornalismo. Ecco i passaggi più significativi dell’articolo (FQ, 29/4/17).

Il giornalismo dovrebbe rivendicare una sua autonomia, rappresentare un contropotere. Perché invece si allinea così docilmente ai desideri dei padroni del vapore? Convenienze, certo. Ma soprattutto aziendalismo, vocazione sempre più apprezzata nelle redazioni. Beninteso, non si fa peccato a identificarsi con l’azienda, finché quella rappresenta essenzialmente un patrimonio di idee. Ma se invece è innanzitutto lo snodo di un intreccio politico-industriale-finanziario, le cose cambiano radicalmente. In quel caso il giornalista (il dipendente, preferiscono dire in quei moderni kombinat) deve identificarsi con un’impresa che è un sistema di potere e finisce per attenersi alla griglia di amicizie e inimicizie che in genere corrispondono agli interessi proprietari. (…) Prudente, inoltre, non mettere in discussione il sistema e considerare certe storture dell’informazione come un fenomeno naturale, inevitabili come la grandine o le gelate. Così le domande scomode sono state abolite. Nessuno oggi si chiede perché siano così ambite imprese editoriali che non fanno utili o accumulano debiti; se sia vero che tanti giornali locali sono il suk dove editori e politica scambiano consenso contro appalti pubblici; se i grandi media siano estranei a questi e altri baratti.
Sarebbe facile dare la colpa agli imprenditori che entrano nell’editoria per usarla come uno strumento. Non sono innocenti, ma molti di loro sono sbarcati nei media per autodifesa (…). Meno comprensibile è la passività dei giornalisti di fronte a una deriva che li schiaccia in un ruolo sempre più ancillare.

Infatti, Umberto Eco ha scritto che «i giornali a volte sono solo il bollettino di un gruppo di potere che fa un discorso ad altri gruppi di potere (…) sopra la testa del pubblico». In altra prospettiva, dato che i media fabbricano consenso durevole e cospicuo, il consenso stesso può essere fabbricato come una merce, e come una merce è venduto e scambiato, nonostante etica e deontologia.
Più recentemente (16/3/17),  il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, tracciando un bilancio dell’evoluzione della categoria durante il suo mandato, ha detto (v. link): «Il recupero della credibilità si e’ rivelato un vero fallimento. Prevale un gioco perverso e irresponsabile di opposte militanze e insieme il settarismo, la superficialità, le urla, le volgarità».
In queste poche parole ci sono sintomi e diagnosi: se i professionisti dell’informazione quotidiana sono poco credibili è perché sono schierati. E’ perché le logiche di appartenenza prevalgono sul resto e man mano che i lettori le scoprono smettono di pagare. Secondo i rilevamenti Ads, da marzo 2016 a marzo 2017, Repubblica ha perso il 19% delle vendite, il Corriere il 16%, la Stampa il 14%, il Giornale il 21% e Libero il 45% (!). In controtendenza il Fatto, che è il quotidiano italiano tecnicamente più indipendente (per assetto proprietario e perché non chiede contributi governativi). Infatti, è stato premiato dai lettori con un incremento delle vendite del 4,1%.

Quali alternative a questo stato di cose che tocca tutti i maggiori quotidiani, come dimostrano i numeri? La alternative ci sono, ma stentano da imporsi. In Giornalismo partecipativo. Storia critica dell’informazione al tempo di InternetGennaro Carotenuto ( noto docente di giornalismo), scrive che contro «il conformismo, la sciatteria, la sudditanza culturale, il servilismo e il carrierismo (…) una speranza viene da Internet». E continua: «nella nebulosa informativa, i media personali di comunicazione di massa, dove milioni di liberi cittadini possono dire la propria, libertà di stampa vuol dire biodiversità informativa e giornalismo come bene comune».
Paola Giannini & staff FirstMaster
V. precedente Giornalismo e libertà di stampa: polemiche sulla classifica 2017.
V. anche:
Slurp: cortigiani e penne alla bava
Giornalismo: la credibilità delle grandi redazioni 
Meglio camerieri-giornalisti che giornalisti-camerieri 
Giornalisti e conformismo 
Giornalismo: ma che professionisti abbiamo, in Italia? 

.

Sei su FirstMaster Magazine - Laboratorio professionale per i corsi online di giornalismo, editoria e comunicazione di FirstMaster (v. FirstMaster) - Sei libero di pubblicare gratuitamente questo articolo, senza modificarlo e a condizione che tu ne attribuisca la realizzazione all'autore e a FirstMaster (editore).

Lascia un commento