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Il giornalismo di guerra e il gioco della parti

«Per chi lavoriamo noi giornalisti? Per i nostri lettori o per aiutare dei “bastardi senza gloria” ad ottenerla?»

La diffusione immediata e mondiale del video della decapitazione di tre frati in Siria ripropone interrogativi a chi fa informazione.  Non perché il fattaccio sia questa volta vero o falso (non erano frati), ma perché il gioco delle parti può cancellare il senso stesso del fare informazione. Può togliere al giornalista il senso del suo lavoro e dei suoi rischi.

Roberta Zunini ha colto ieri (ilfattoquotidiano.it), il dato di cronaca dei tre “frati” decapitati in Siria, per inserire una seria riflessione d’ordine generale, non confinabile alle zone calde del mondo, dove si agitano fanatismi su interessi economici di ogni ordine.

Considerazioni valide anche da noi, nella tranquilla Italia, se pensiamo a quante sciocchezze, palesi falsità o provocazioni la stampa e la televisione rilanciano SOLO perché «sono comunque notizie», facendo il gioco di chi ha interesse  a distogliere l’attenzione del pubblico, oppure a sostenere tesi mercanteggiate, vendute e comprate ogni giorno.

Per i fatti della Siria, la prima considerazione della Zunini riguarda «la pubblicazione sui media, giornali, radio e tv, dei video girati attraverso gli smartphone da persone sconosciute, dunque da fonti inattendibili. Siccome anche gli analfabeti – come molti africani, pakistani, afghani, indiani – riescono senza problemi a girare un video con uno smartphone e a metterlo in rete, bisognerebbe interrogarsi se sia il caso di dar corda a speculazioni, ben che vada, ciniche e squallide.
Chi ha ordito questo raccapricciante video? Chi ha convocato decine di derelitti ignoranti, privi di qualsiasi capacità di discernimento, per farli gridare a comando “Allah Uakbar” (Dio è grande) davanti alle telecamerine degli Iphone, ogni volta che una testa veniva staccata dal tronco?

Per chi lavoriamo noi giornalisti? Per i nostri lettori o per aiutare dei “bastardi senza gloria” ad ottenerla e ad arrivare al vertice della composita e complessa galassia della ribellione siriana, oggi incrociata con il jihadismo islamico?
O magari, senza rendercene conto, mostrando filmati di questo genere, aiutiamo le squadracce di shabiha, cioè i miliziani in borghese del laico Bashar al Assad, a far passare il messaggio che i ribelli, che oggi lo combattono, sono solo dei mostruosi estremisti islamici assetati di sangue cristiano?»

E qui la Zunini arriva alla seconda questione: «nonostante si tratti di fonti parziali, sconosciute e discutibili, quelle che postano questi video o che danno aggiornamenti sulla situazione all’interno del Paese, dobbiamo per forza utilizzarle? Con la scusa di informare, non produciamo così forse ancora più confusione e diffondiamo magari falsità o rumori inutili ancorché da trauma psichico? Eppure non si può farne a meno nell’era digitale, nell’era della comunicazione super veloce e dei social network-contenitori dalla capienza infinita di qualsiasi cosa. Il citizen jounalism è fondamentale ma, soprattutto nei teatri di guerra, soprattutto nei conflitti civili, deve essere affiancato da giornalisti esperti sul campo, dagli inviati di guerra con più esperienza.

Ecco perché professionisti come Domenico Quirico, che ancora non è tornato tra noi ma sappiamo che è vivo, sono fondamentali per i lettori, per l’opinione pubblica in generale. E non sono dei pazzi incoscienti come pensano in molti, che vanno a rischiare torture e la morte per il gusto del brivido».

Link:
– articolo: Siria, l’era dello smartphone in mano a “bastardi senza gloria” (30-6-13)
– biografia Roberta Zunini

 A c. di Mariella Di Stefano & staff

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