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A proposito dei giornalisti in politica

Fra tutte le professioni del mondo, quella del giornalismo è forse la più affine all’impegno politico, anche perché ha un’inclinazione naturale a occuparsi delle questioni sociali. Ma una cosa è occuparsi di politica, un’altra è essere un politico. Infatti...

A proposito di giornalisti che entrano in politica, Giovanni Valentini, su FQ (28/2/18) ha pubblicato un interessante articolo, che riporta alla posizione sociala del giornalista. Ecco i passaggi più significativi per chi si interessa al giornalismo e al suo ruolo.

Fra tutti i mestieri e le professioni del mondo, quella del giornalismo è forse la più affine all’impegno politico. L’uno e l’altro consistono essenzialmente nell’interpretare e rappresentare le esigenze, i bisogni, le aspirazioni dei cittadini. La differenza, sostanziale, è che alla politica spetta in più il compito di realizzare e soddisfare queste aspettative; mentre il giornalismo, libero e indipendente, deve informare, controllare, criticare e all’occorrenza, se ne è capace, magari proporre.

Diciamo che la politica può anche essere considerata una proiezione del giornalismo. Nel senso che, a differenza dell’operaio, dell’imprenditore, del docente o del professionista, chi fa il nostro mestiere ha un’inclinazione naturale a occuparsi delle questioni sociali. E probabilmente è proprio questo il motivo per cui i giornalisti in politica ci sono sempre entrati. Non è uno scandalo e, anzi, si può considerare una scelta legittima. A patto, però, che sia una scelta senza ritorno. Al pari del magistrato che dev’essere “super partes”, una volta indossata la casacca di un partito il giornalista perde automaticamente la sua aura d’indipendenza, autonomia di giudizio e imparzialità, ammesso naturalmente che l’abbia mai coltivata e meritata. Poi, quando esce dalla politica, potrà anche continuare a scrivere per esprimere – come la Costituzione garantisce a qualsiasi cittadino –le proprie opinioni, ma senza le credenziali professionali del giornalista: da quel momento, sotto la sua firma dovrebbe comparire la dicitura “ex parlamentare”, “ex assessore” o “ex consigliere” di questo o quel partito.

(…) Nel nostro Parlamento, siedono già troppi politici di professione che si fregiano ancora della qualifica di giornalista per aver lavorato in organi ufficiali di partito o per averne assunto la direzione. E spesso, come accade in genere per gli spretati, sono i peggiori denigratori del nostro mestiere. Sta di fatto che quando un giornalista “scende ” (senza offesa) in politica, rinuncia alla tonaca professionale e abbandona, almeno agli occhi dei lettori o dei telespettatori, il voto laico di obiettività. È stata proprio la progressiva omologazione alla Casta a indebolire e danneggiare la nostra categoria. Il giornalista, come dicono gli inglesi, dovrebbe essere un watch dog, un cane da guardia dei poteri costituti, nell’interesse dei cittadini e degli elettori. Ma spesso è diventato invece un lap dog, un cane da grembo per tenere compagnia ai “mandarini della politica”. (…)
Da Giovanni Valentini, “Giornalisti politici: scelta legittima ma senza ritorno”, FQ 27/2/2018.
A cura di Mario Di Giovanni & staff FM

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